Legislazione italiana rumore ambientale

24 Marzo 2021 Il rumore ambientale o inquinamento acustico si distingue dall’inquinamento ambientale per due ragioni principali. Innanzitutto è di tipo locale, ovvero si disperde e non va ad accumularsi con il trascorrere del tempo. Inoltre va a colpire la salute in senso stretto, più che l’ambiente: ciò significa che prevalentemente ha una ricaduta sull’uomo e sul suo benessere psicofisico. Buona parte delle competenze in tema di inquinamento acustico sono demandate agli enti ARPA (Agenzia Regionale per l’Ambiente). Questi enti gestiscono a livello regionale il monitoraggio dei livelli di rumore ambientale e il monitoraggio delle emissioni di rumore con campagne di misura. Quello del rumore ambientale è tema molto importante, da tenere in considerazione quando si svolgono attività verso l’esterno e, prima ancora, in fase progettuale. Un’infrazione delle leggi, infatti, porta a pesanti sanzioni amministrative. Legislazione ambientale e rumore In Italia il tema del rumore ambientale ha fatto il suo ingresso nella legislazione nel 1991 (DPCM 1/2/91, “Limiti massimi di esposizione negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”). Solo nel 1995, però, viene pubblicata la Legge Quadro di riferimento (n. 447, 26/10/95), che affronta il tema della tutela dell’ambiente esterno e abitativo dall’inquinamento acustico. È tuttora il principale riferimento normativo in Italia. Questa Legge determina le competenze sia degli enti pubblici incaricati del controllo, sia di quelli privati, che possono costituire la fonte del rumore ambientale. Inoltre definisce in modo chiaro la terminologia del settore. In particolare definisce:
  • inquinamento acustico
  • ambiente abitativo
  • sorgenti sonore fisse
  • sorgenti sonore mobili
  • valore limite di emissione
  • valori di attenzione
  • valori di qualità
La Legge Quadro del 1995 deve coordinarsi con la Direttiva europea 2002/49/CE, che tratta la determinazione e la gestione del rumore ambientale a livello europeo. In Italia nel 2017 sono stati poi emanati due Decreti Legge (D.L. 17/02/2017, n. 41 e D.L. 17/02/2017 n. 42), con l’obiettivo di armonizzare ulteriormente la legislazione italiana con quella europea. Gli ultimi ingressi nella normativa vigente a tema inquinamento ambientale sono:
  • la Direttiva 2020/367/UE, che modifica una parte della Direttiva europea del 2002 in merito ai metodi di determinazione degli effetti nocivi del rumore ambientale;
  • il DM Ambiente 20/02/2020, che modifica un Decreto legislativo del 2002 in tema di rumore ambientale delle macchine destinate a funzionare all’aperto.
La legislazione sul rischio rumore in ambienti lavoro: normativa e cosa fare Il rumore in ambienti di lavoro è una delle cause principali di malattie professionali (es. ipoacusia e sordità). Per quanto riguarda la legislazione sul rischio rumore sugli ambienti di lavoro in Italia, il tema è inserito nel Testo Unico in materia di sicurezza (D.lgs,. 9/04/2008, n. 81). Questo decreto attua la Direttiva europea 2003/10/CE, in materia di esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici. Il datore del lavoro è obbligato a fare la valutazione del rischio rumore se l’azienda ha almeno un dipendente o un collaboratore che lavora esposto a fonti di rumore. La valutazione a sua volta deve essere inserita nella Dichiarazione di valutazione dei rischi (DVR) dell’azienda. I parametri che guidano la valutazione del rischio rumore sono: la grandezza dell’onda e la frequenza dell’onda. La valutazione dei danni del rumore è invece determinata da: frequenza e intensità del rumore, tempo di esposizione al rumore. Il Testo Unico del 2008 prevede inoltre la sorveglianza sanitaria del luogo di lavoro, “effettuata del medico competente […] sulla base dei risultati della valutazione del rischio”. Lo stesso Testo Unico regola l’utilizzo di DPI udito (cuffie da lavoro, di diverso tipo in base all’entità del rumore). Sia l’obbligatorietà della sorveglianza sanitaria che l’utilizzo dei DPI udito sono dipendenti dall’entità del rumore:
  • tra gli 80 dB e gli 85 dB: il datore deve fornire i DPI (non c’è obbligo di utilizzo) e informare i datori sul rischio rumore, sorveglianza sanitaria solo su richiesta del lavoratore 
  • tra gli 85 dB e gli 87 dB: DPI obbligatori, sorveglianza sanitaria obbligatoria ogni 2 anni
  • Oltre gli 87 dB: il datore deve procedere con la modifica delle misure di protezione e con la riduzione dell’esposizione al rumore.
 

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